Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2015, La scommessa spericolata degli stregoni ateniesi, di Carlo Bastasin

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A questo punto non basterà nemmeno trasformare Varoufakis in Ifigenia
e sacrificarlo come la figlia di Agamennone, per calmare gli dei. Non
ci sarà l’accordo atteso per i prossimi giorni, perché il confronto tra
Atene e i partner europei si è di nuovo inasprito. Fino alle ultime ore
il parlamento greco ha approvato leggi di spesa pubblica in violazione
degli accordi europei che richiederebbero la consultazione preliminare
dei creditori. Ora, spiega uno dei protagonisti delle trattative, i
creditori chiedono ad Atene di accettare almeno una delle tre riforme
richieste: pensioni, lavoro o fisco. Poi si potrebbero liberare i fondi
e fare programmi di maggior respiro.

Ma Atene risponde con aumenti di spesa e di tasse e con argomenti
conflittuali che pongono la sovranità politica greca molto sopra i
diritti degli altri cittadini europei. I margini di salvezza ci sono
ancora solo fino a giugno-luglio. Se per allora non prevarrà il buon
senso, assisteremo dunque a una delle crisi più stupide della storia
umana.

Nonostante un’economia fragilissima, il governo Tsipras ha intrapreso
il negoziato con spirito conflittuale e con l’hybris di chi rischia il
tutto per tutto. Raccogliendo fondi da ogni cassa pubblica, rinviando
le spese per gli ospedali e per investimenti già avviati, ha reso un
fallimento negoziale ancora più costoso per la società greca. A questo
punto nemmeno i fondi decurtati degli ammortizzatori sociali sarebbero
in grado di attutire il colpo. Ma lo ha reso temibile anche per i
creditori.

Le cifre dimostrano che la scommessa è stata spericolata. La revisione
in corso sui conti pubblici greci – che forse nessuno conosce veramente
– è nell’ordine di grandezza di quella che tra ottobre e dicembre 2009
precipitò l’euro area in una crisi interminabile. Il surplus primario
del 2015 previsto al 4,8% sta diventando un deficit. Il debito pubblico
è tornato a salire e l’intera architettura di salvataggio greco è in
bilico. Gli accordi di fine 2012 prevedevano una traiettoria in discesa
del debito fino al 110% del Pil nel 2022. Per questo ora si torna a
trattare su un taglio a danno dei creditori, chiamati a pagare
politiche a cui si opponevano.

L o scontro politico tocca corde così profonde che i capi di governo da
tempo hanno creduto di raffreddarlo spostando l’intera trattativa sul
tavolo dei ministri delle Finanze. Alla fine di maggio, con l’idea di
risolvere un argomento politico attraverso la tecnica finanziaria, le
istituzioni europee avranno di fatto sospeso il versamento ad Atene di
10 miliardi di euro. Tenendo conto del fabbisogno, Atene avrà
accumulato un buco superiore all’8% del Pil prima dell’estate. Un
problema enorme che rende giugno-luglio lo spartiacque della vicenda
greca. Il paradosso è che superato il 2015 gli oneri del debito greco
sarebbero molto bassi per molti anni.

Ma mantenere a livello tecnico questa trattativa non ha fatto diminuire
le tensioni: ci sono Paesi a reddito più basso di quello greco che non
intendono tassare i propri contribuenti per finanziare Atene. Lo
scontro tra sovranità si è accentuato in assenza di una mediazione
politica europea al più alto livello. Un accordo all’Ecofin che eviti
esiti traumatici non sembra quindi vicino senza cedimenti da parte del
governo greco.
Per spavento o per saggezza, da Atene arriva qualche segnale di
cambiamento. Al primo incontro con Merkel, Tsipras aveva convinto
Berlino di essere pronto a lasciare l’euro.

Ora, né lui né Euclid Tsakalotos, che ha assunto alcune delle
competenze di Varoufakis, usano più la minaccia di abbandono della
moneta unica. Essendo membro di Syriza, Tsakalotos è in grado di
mediare tra radicali e moderati nel partito-coalizione e ha preso atto
che la grande maggioranza dei greci vede nell’euro un simbolo di
identità occidentale a cui non vuole rinunciare. Tanto più in una fase
di rinnovata tensione con la Turchia e di grave instabilità nel
Mediterraneo.

Nel 2013 la Grecia aveva ricevuto aiuti dall’Ue per il 4,7% del suo
Pil. Sette volte più di quanto era stato dato a ognuno degli altri
quattro Paesi sotto assistenza. Anche per questo, alcuni consiglieri
esperti e conosciuti a Bruxelles sono stati recuperati dal governo.

Gli ultimi tecnici coinvolti nel team negoziale sono in sintonia con il
moderato vice premier Dragasakis. Inoltre, per la prima volta dal
cambio di governo la Banca di Grecia è rientrata nel negoziato. Fu il
governatore greco a proporre lo scambio tra riforme “europee” e un
allungamento delle scadenze e un taglio degli spread che riportassero
il debito sulla traiettoria concordata. Il taglio del net present value
del debito dunque arriverà, su questo non c’è una guerra tra l’Fmi e la
Commissione europea. Ma solo dopo l’approvazione del piano di riforme
per quanto minimalista.

Nel frattempo tutti stanno sottovalutando la fuga dei depositi dalle
banche greche, che alcuni indicatori segnalano in ripresa. A
Francoforte si calcola che le banche greche abbiano ancora una decina
di miliardi in titoli che possano essere usati come collaterale per
ottenere liquidità dalla Bce. I tempi sono quindi stretti. Tutto
converge a rendere giugno-luglio il momento della verità. E la
sensazione è che tutti gli apprendisti stregoni, non solo ad Atene,
stiano cominciando a spaventarsi.