22.01.2016, Discorso di Giorgio Napolitano

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Premio Altiero Spinelli
Intervento del Presidente emerito
Sen. Giorgio Napolitano

Roma, Senato – 22 gennaio 2016

Sono molto grato al Presidente Anselmi e a tutti coloro che con
esemplare tenacia tengono viva in Italia la nobile tradizione del
Movimento Federalista.
Grato per un riconoscimento generosamente motivato che mi onora e che
tanto più apprezzo in quanto è stato in precedenza conferito a uno dei
più rispettati protagonisti italiani della costruzione europea, Carlo
Azeglio Ciampi.
Grato ancor più per l’occasione che mi si offre di rendere omaggio alla
figura di Altiero Spinelli nell’imminenza del 30° della sua scomparsa.
E il fatto che abbiano voluto condividere questa occasione il Presidente
della Repubblica Sergio Mattarella, e insieme con lui il Presidente del
Senato, che ringrazio per il suo caloroso e non formale saluto, e il
Ministro degli Affari Esteri, ha un significato che tutti possono
intendere. Gliene siamo riconoscenti.
Insieme con loro saluto cordialmente tutte le autorità e personalità
presenti, e con particolare affetto Renata Colorni, tanto cara ad
Altiero e Ursula, come tutte le sue sorelle.

Sulle idee di Spinelli, sullo straordinario dispiegarsi del suo impegno,
e dunque sulla sua eredità ho avuto modo, nel tempo, di esprimermi
pubblicamente a più riprese, a partire dall’intervento che tenni alla
Camera nel primo anniversario della sua scomparsa.
Ancora di recente ho voluto ricordare, all’Università di Pavia, quanto
io debba al suo insegnamento, e come assolutamente singolare sia stata
la sua vicenda. La lunga e travagliata esperienza di Spinelli in carcere
e al confino era culminata nella grande ideazione – insieme con Ernesto
Rossi e Eugenio Colorni – del Manifesto di Ventotene. Caduto il
fascismo, egli tornò finalmente libero, ma in assoluta solitudine
politica. Iniziò dunque la sua lunga marcia forte soltanto del senso
della sua missione.
Ma per riflettere qui oggi sull’arduo cammino del processo di
integrazione europea e sul modo di affrontare le scelte che ci stanno
davanti, vorrei partire dall’ultimo messaggio che Altiero Spinelli,
“giunto quasi (così scrisse) all’estremo dei miei anni” consegnò – marzo
1986 – nella premessa a una seconda parte della sua autobiografia, poi
rimasta solo abbozzata.
In quella “Premessa” egli evocò le sconfitte sue e del Movimento
Federalista, e dunque della causa dell’unità europea. E volle dire :
“Nessuna di quelle sconfitte ha però lasciato in me quel rancore contro
la realtà che così spesso alligna nell’animo degli sconfitti. …
Bisogna sentire che il valore di un’idea, prima ancora che dal suo
successo finale, è dimostrato dalla sua capacità di risorgere dalle
proprie sconfitte. ”
E in effetti, l’Europa unita, nel suo farsi da 65 anni a oggi, ha
conosciuto non poche e non lievi crisi, e vere e proprie sconfitte.
Quando si dice che l’integrazione europea è avanzata attraverso crisi
ricorrenti, ci si riferisce a vicende che non è possibile porre tutte
sullo stesso piano.
Di certo, da un lato, vicende di tensione e di crisi nei rapporti tra
Stati membri della Comunità e nei rapporti tra Stati nazionali e
istituzioni europee. Tra le più note la crisi insorta negli anni ’60 tra
la Francia di De Gaulle e la Comunità (la cosiddetta crisi della “sedia
vuota”). E, nella seconda metà degli anni ’70, la crisi tra la Gran
Bretagna guidata dalla Signora Thatcher, e la Comunità. Si trattò della
polemica sul “giusto ritorno”, con la poco flemmatica Primo Ministro
britannica che urlò “voglio indietro i miei soldi” (I want my money back).
Quelle crisi nascevano non solo da interessi divergenti e da abnormi
pretese nazionali, ma da visioni opposte dell’unità europea. E vennero,
come poi altre, risolte attraverso compromessi, adattamenti, ambiguità,
suscitando delusioni e insoddisfazioni nei più coerenti fautori
dell’integrazione.
Altra, e ben più grave cosa, sono state le sconfitte : in quanto hanno
interrotto o deviato, per un non breve periodo, il corso della
costruzione europea.
La prima e più grave sconfitta fu quella del rigetto del Trattato CED
nel 1954. In che senso ne fu deviato il corso della costruzione europea ?
Ricordiamolo : la Comunità a Sei era stata delineata e varata nel maggio
1950 con la Dichiarazione Schuman di altissima ispirazione e visione
politica.
Si partì, è vero, da una scelta che apparve tecnica : la messa in comune
della produzione franco-tedesca di carbone e acciaio. Ma in effetti si
intese intervenire su un punto “decisivo” anche se “limitato”, cioè
sulla “fabbricazione di strumenti bellici” di cui le vaste regioni
francesi e tedesche erano state “più costantemente le vittime”.
L’obbiettivo esplicito nella Dichiarazione era di rendere “materialmente
impossibile qualsiasi nuova guerra fra la Francia e la Germania”.
E che cosa di più politico poteva esserci dell’obbiettivo della pace in
Europa ?
La Comunità del Carbone e dell’Acciaio, introdotta nel 1951-52, fu
concepita come “il primo nucleo concreto di una Federazione europea”,
così nettamente definita.
E infatti si decise subito dopo, nel 1953, di lanciare il progetto di
Trattato istitutivo della CED, Comunità Europea di Difesa. Già la
creazione di una difesa comune avrebbe presentato un alto valore
politico in senso federale : e solo ora, forse, possiamo comprendere
quanto fu grave il bloccare sul nascere quella scelta, destinata a
rimanere a tutt’oggi un essenziale anello mancante della costruzione
europea.
Ma decisiva, politicamente, fu l’iniziativa di De Gasperi, in stretta
intesa con Spinelli – una straordinaria, emblematica collaborazione – di
introdurre in quel Trattato l’articolo 38. Esso prevedeva un’Assemblea
ad hoc, effettivamente riunitasi già nel marzo 1953, per adottare il
“Progetto di Statuto di una Comunità politica europea”, redatto in 117
articoli. E oggi è impressionante vedere quanto lontano si fossero
spinte le nuove leadership democratiche, rapidamente affermatesi in
Italia e in Germania, nel prospettare a paesi sconvolti dalla dittatura,
dalla guerra e dalla sconfitta, un orizzonte radicalmente nuovo. Lo
fecero pur tra divisioni e opposizioni nei loro paesi, cogliendo le
speranze dei popoli impegnati nell’immane compito della ricostruzione e
aspiranti a un futuro migliore. Rispetto all’audacia di leader come De
Gasperi e Adenauer, quanto appare avvilente l’angustia degli orizzonti e
dei calcoli che tanto pesa oggi sulle decisioni degli Stati membri
dell’Unione europea.
Ma il voto con cui l’Assemblea nazionale francese bocciò il Trattato CED
nell’agosto 1954, ne fece crollare tutto l’impianto politico.
E divenne reale il rischio che si dissolvesse il processo di
integrazione appena avviato e ancora fragilissimo.
Altiero Spinelli avvertì nel profondo quel rischio, e alla sconfitta non
reagì “con rancore verso la realtà”, ma mettendosi all’opera per salvare
il cammino dell’integrazione europea. Si mise all’opera in stretta
sintonia con l’altro grande ispiratore e stratega dell’unità europea,
Jean Monnet.
Ma fu giocoforza deviare il corso della costruzione europea da politica
a strettamente economica.
Un ambito molto importante ma in ultima istanza asfittico, in cui quella
costruzione sarebbe rimasta a lungo costretta.
Sappiamo come se ne uscì, anche grazie a un forte contributo italiano :
dalla Conferenza di Messina ai Trattati di Roma del 1957, che fondarono
la Comunità economica europea. E in quella dimensione, certo, furono
conseguiti storici risultati di progresso per tutti, scanditi da
richieste di adesione e ingressi di nuovi Stati nel processo di unità
dell’Europa. Ma finalmente un nuovo grande passo avanti sul terreno
politico fu compiuto nel 1979 con l’elezione diretta del Parlamento Europeo.
E di lì riparte il cammino di Altiero Spinelli che, eletto deputato,
porta avanti un formidabile sforzo per aggregare consensi attorno al
progetto di Trattato istitutivo dell’Unione, portandolo trionfalmente
all’approvazione del Parlamento di Strasburgo nel febbraio 1984. Sono,
si badi, passati 30 anni dalla sconfitta della CED ; e tuttavia
sopravviene una nuova sconfitta per Spinelli, quella del tentativo di
rendere operante il progetto approvato da un Parlamento Europeo privo di
potere costituente.
Dai negoziati tra governi scaturì quell’Atto Unico con cui Spinelli
polemizzò duramente, ma rimettendosi poi ancora una volta all’opera, con
le ridotte energie e lo scarso tempo che gli restavano, per aprire la
strada a quella che fu la graduale introduzione di elementi importanti
del suo progetto nei successivi Trattati europei.
Dopo la scomparsa di Spinelli, fu il Trattato di Maastricht a segnare
una svolta in senso federale, dando vita alla moneta unica, alla Banca
Centrale Europea, con delega dunque, da parte degli Stati nazionali,
della sovranità monetaria a istituzioni sovranazionali. Si trattò di un
reale, rilevante approfondimento dell’unità europea, e nello stesso
tempo si preparò il grande allargamento dell’Unione. Questo richiedeva
però un nuovo impegno di rilancio ideale e di costituzionalizzazione di
quella che stava per diventare una Unione a 25 e poi a 27 membri. Da
molteplici discussioni ed elaborazioni feconde nacque il Trattato che
stabiliva una Costituzione per l’Europa, firmato da tutti gli Stati
interessati. Tuttavia – nuova drammatica sconfitta – fu ben presto
affossato dall’esito dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi. E ciò
confermò ancora una volta quanto sia stato travagliato e spesso spezzato
il cammino dell’Europa unita. E la grande novità dell’Unione monetaria
rimase fatalmente indebolita, in quanto priva di pilastri politici. Essa
non divenne, oltre che monetaria, anche Unione economica effettiva.
Quasi un decennio fa, sono poi intervenute a condizionare pesantemente
le scelte dell’Unione europea, la crisi globale e le sue ricadute
finanziarie ed economiche in Europa e in particolare nell’Eurozona.
Ci si è da allora concentrati inevitabilmente, ma con scarso respiro
politico, su quelle angosciose problematiche comprensibilmente destinate
a dominare le popolazioni, le opinioni pubbliche, le reazioni degli
Stati membri. Si è puntato perciò affannosamente, in chiave
intergovernativa, a sancire, com’era d’altronde necessario, maggiore
concertazione e disciplina nelle politiche di bilancio. Ma quelle
decisioni non hanno toccato le politiche economiche nella loro più ampia
accezione e dimensione.
E scelte rimaste nel quadro di quel che è stata definita l’austerità,
hanno mostrato la corda. Bisogna perciò andare oggi avanti sulla via di
una più complessiva integrazione e di una visione pienamente politica.
In questo senso si sono elaborate nuove proposte (quelle, in
particolare, dei Presidenti delle istituzioni europee) : ma il passo è
lento, le esitazioni e contraddizioni molte, e a complicare
drammati-camente il quadro interviene la crisi migratoria, e con essa
emerge una crisi degli stessi fondamenti ideali dell’Unione, dei
consensi dei cittadini-elettori, degli equilibri politici nazionali, e
della funzionalità degli assetti istituzionali europei.
Più crisi, diciamo pure, sfociate in un solo intricato coacervo di
rischi e di sfide. E’ a sciogliere quei nodi critici che si deve oggi
lavorare, e l’Italia deve contribuire, ispirandosi al sempre vivissimo
messaggio ed esempio di Spinelli.
Il che significa combattere le spinte centrifughe e i rigurgiti
nazionalistici che davvero minacciano come non mai l’edificio e il
futuro della costruzione europea. E se questa vacillasse, noi europei –
i nostri paesi tutti, senza eccezione – saremmo relegati ai margini
dello sviluppo mondiale, e della ricerca di un nuovo ordine mondiale.
Sono queste le inoppugnabili nuove motivazioni del progetto di unità
europea : in quanto dettate imperativamente dai cambiamenti avvenuti
nelle realtà e nei rapporti di forza mondiali, che conferiscono
drammatica verità alle profetiche parole di Jean Monnet nel 1976 :
“…oggi, i nostri popoli debbono imparare a vivere insieme sotto regole
e istituzioni comuni liberamente consentite se vogliono raggiungere la
dimensione necessaria al loro progresso e restare padroni del loro
destino. Le nazioni sovrane del passato non sono più il quadro in cui
esse possano risolvere i problemi del presente.”
Altro che rientro nei confini degli Stati nazionali, altro che rilancio
delle sovranità nazionali, come predicano gli euroscettici, gli
eurodistruttori. Ed è tempo, aggiungo, di reagire al vilipendio
> continuato che viene rozzamente da quella parte nei confronti delle
> conquiste dell’integrazione e unità europea. Reagirvi non solo sul piano
> della verità storica ma anche valorizzando i passi avanti che pur in
> questo così tormentato periodo si sono fatti.
> Ne citerò alcuni. Il ruolo assunto dalla BCE a tutela della moneta
> unica, per la tenuta e la ripresa delle nostre economie; le tappe già
> raggiunte sulla via dell’Unione Bancaria. La maggiore unitarietà e
> incisività della politica estera e di sicurezza comune al fine della
> felice soluzione della crisi in l’Iran, della paziente ricerca di intese
> per la Siria e in Libia, e contro la maggiore complessiva minaccia,
> quella del terrorismo fondamentalista islamico.
> E’ necessario accompagnare a motivate insoddisfazioni e critiche per il
> presente stato dell’Unione Europea, l’attenzione a non avallare mai
> nessun catastrofismo. E’ questo il compito di tutte le forze europeiste.
> E ora parliamo pure dell’Italia, senza sfuggire a un’attualità che per
> più versi ci preoccupa. Vorrei dire a tale proposito solo quel che
> l’esperienza storica e l’insegnamento di Spinelli suggeriscono. Tra Roma
> e Bruxelles non c’è nessuna resa dei conti in vista, se non nei titoli a
> sensazione di qualche giornale. Non possono esserci “rese dei conti”
> tra un paese, l’Italia, che si è identificata col processo di
> integrazione europea fin dal suo primo avvio, e un’istituzione, la
> Commissione, in cui l’Italia ha sempre visto il fulcro – insieme con il
> Parlamento di Strasburgo – di un’Europa sovranazionale.
> Possono e debbono esserci – oltre le escandescenze polemiche e nel
> reciproco rispetto – confronti e chiarimenti obbiettivi concentrati
> sulle effettive divergenze da superare. Intese ragionevoli certamente si
> raggiungeranno, anche sull’interpretazione, applicazione e
> semplificazione di regole importanti, e innanzitutto con la Commissione.
> L’Italia ha, nel tempo, dato alla Commissione di Bruxelles, in funzioni
> di guida o di alta responsabilità, uomini di sicura tempra europeista.
> Innanzitutto non dimentichiamolo, lo stesso Altiero Spinelli,
> Commissario dal 1970 al 1976. E l’Italia ha anche espresso, al livello
> europeo, non pochi civil servants e rappresentanti diplomatici di grande
> valore.
> Né sono certo mancati, tra i governanti dell’Italia repubblicana, esempi
> di dignità e autorevolezza nei rapporti con le istituzioni europee. Sono
> rimaste agli atti tracce dell’apporto decisivo dell’Italia, in
> particolare di alcune Presidenze di turno italiane, in momenti cruciali
> per l’avanzamento della costruzione comune.
> L’Italia è stata, e più che mai resta, portatrice delle istanze e delle
> soluzioni più avanzate per il progresso dell’integrazione e dell’unità
> europea. Lo è stata e lo sarà di concerto con i suoi partner egualmente
> motivati in seno alle istituzioni europee quali sono e quali si
> evolveranno. Di questo indefettibile impegno è espressione e presidio al
> livello più alto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come
> ha mostrato con il suo forte discorso a Strasburgo e con il quotidiano
> manifestarsi del suo e nostro europeismo.
> E’ in questa luce che i nostri partner debbono vedere le riserve su
> decisioni non condivise e le sollecitazioni critiche che l’Italia
> esprime. Comunque, il nostro paese è chiamato a rivolgersi sempre di
> più, e con adeguata capacità propositiva, verso obbiettivi di carattere
> generale e non solo di specifico interesse nazionale. Quel che non si
> deve smarrire è il grande filo originario della ricerca e affermazione
> dell’interesse comune europeo, del consolidamento di una “solidarietà di
> fatto” e di una reciproca fiducia tra tutti gli Stati dell’Europa unita.
> E nel momento attuale, di così inquietanti spinte centrifughe, è
> indispensabile tener fermo innanzitutto il legame storico tra i paesi
> fondatori, e specialmente tra i maggiori, Italia, Germania, Francia.
> Questo resta il perno decisivo per reggere ogni scossa, per spingere più
> avanti l’unità europea, e anche per far sì che gli stessi obbiettivi
> indicati dai “5 Presidenti”, e gli impegni enunciati dalla Commissione,
> dal piano di investimenti in progetti comuni europei all’Energy Union,
> si realizzino, non restino a mezz’aria.
> Si deve a questo fine perseguire una stretta intesa tra le leadership
> dei paesi maggiori e più consapevoli ; ed essa deve innanzitutto
> corrispondere alla drammatica priorità del governo dei flussi migratori.
> Per rendere finalmente esecutive le linee di comportamento già definite,
> per combinare e non contrapporre accoglienza e sicurezza, specie sul
> fronte della vigilanza contro il terrorismo, non minando il fondamentale
> impianto della Convenzione di Schengen, non mettendo a repentaglio
> l’irrinunciabile conquista della libertà di circolazione delle persone
> in Europa.
> E non esitiamo a guardare anche ai progressi più audaci verso un’Unione
> politica, un’Unione fiscale, un governo comune delle politiche di
> ripresa e sviluppo economico, fino a istituzionalizzare – attraverso
> chiarimenti anche all’interno dell’Eurozona – l’area dei paesi che
> intendono procedere verso una sempre più stretta integrazione, regolando
> i loro rapporti con gli altri Stati membri dell’Unione Europea.
> Tali progressi possono trovare consenso nei cittadini, tra i quali, nei
> maggiori tra i paesi fondatori, resiste nel profondo un sentire europeo;
> possono trovare consenso se rinascerà una forte volontà politica
> unitaria, basata su quel discorso che è finora mancato, un discorso di
> verità senza reticenze e dissimulazioni sui rischi estremi che corre
> l’Europa nel mondo di oggi e di domani.
> E’ tempo di liberarci dai reciproci pregiudizi e dagli stereotipi, come
> quello di un Nord Europa virtuoso e di un Sud che ne è la palla al
> piede. Ed egualmente quelli di una Germania dominante e di un’Italia
> poco affidabile. Nel nostro paese stiamo, su diversi piani, sciogliendo
> contraddizioni e superando ritardi strutturali di antica data. E in
> quanto allo spettro di un’Europa tedesca (che solo Hitler poté
> concepire), nessuno Stato membro, per quanto possa esserne obbiettivo ed
> evidente il peso, potrà mai dominare o imporre la propria egemonia
> nell’Unione europea, pena la fine dell’Unione stessa.
E tra Italia e Germania c’è una profonda convergenza di interessi di
lungo periodo, e oggi una concordanza di visioni e di posizioni in campi
– lo ha sottolineato il Ministro Gentiloni – come la politica estera e
le migrazioni. E’ tra le nostre classi dirigenti e le nostre società in
tutte le loro articolazioni che va sviluppata una reciproca conoscenza,
e con essa un’atmosfera di costante scambio culturale e umano.
Concludo tornando a quello scritto del marzo 1986 di Altiero Spinelli da
cui sono partito. Vi si trova lì il racconto vivissimo dell’incontro di
fondazione del Movimento Federalista Europeo – incontro indetto a Milano
da Spinelli con Rossi e Colorni il 27-28 agosto 1943, una settimana dopo
che Altiero era tornato libero. E ne scaturisce splendida la sua
personalità, nell’intreccio tra passione utopica e concretezza politica,
realismo politico.
Il percorso di Spinelli e del movimento da lui ispirato è passato dunque
attraverso sviluppi e consensi imprevedibili, come – lo abbiamo visto –
attraverso alti e bassi, ostacoli pesanti, ricorrenti incertezze e prove
cruciali. Raccogliendo il suo esempio, si deve – se all’Europa si crede
– avere il senso dell’urgenza, la prontezza nell’agire volta a
determinare scelte ormai mature e indilazionabili, e insieme il senso
della portata storica dell’impresa da portare avanti : dall’Europa della
sovranità assoluta degli Stati nazionali, dei veleni nazionalistici e
delle guerre contro sé stessa, all’Europa unita, dotata di forti
istituzioni sovranazionali, orientata in senso federale.
“Chiunque si accinge” – è l’ultimo messaggio di Altiero Spinelli – “ad
una grande impresa lo fa per dare qualcosa ai suoi contemporanei e a sé,
ma nessuno sa in realtà se egli lavora per loro e per sé, o per loro e
per i suoi figli … o per una più lontana, non ancora nata generazione
che riscoprirà il suo lavoro incompiuto e lo farà proprio”.
Altiero Spinelli ha lavorato per noi e per generazioni molto più
giovani, non solo della sua ma anche della mia generazione. Mostrandoci
la strada del coraggio – con giudizio – in ogni momento critico, e, nel
lungo periodo, dell’incrollabile tenacia. Lo ringraziamo ancora.