Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 2018 – Il 4 marzo la grande sfida tra europeisti e sovranisti, di Sergio Fabbrini

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Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 2018

Il 4 marzo la grande sfida tra europeisti e sovranisti

di Sergio Fabbrini

Che relazione c’è tra le elezioni italiane del prossimo 4 marzo e
l’accordo franco-tedesco che verrà celebrato il prossimo 22 gennaio in
occasione del 55esimo anniversario del Trattato dell’Eliseo? Nessuna,
secondo l’opinione della maggioranza degli osservatori e dei politici
italiani. Tant’è che, con la sola eccezione di questo quotidiano, non è
stata riportata neppure la notizia della decisione, dei parlamenti
della Francia e della Germania, di votare un documento congiunto in
occasione di quella celebrazione. Un documento che impegna i due Paesi
ad approfondire l’integrazione reciproca su materie cruciali per il
funzionamento del mercato unico e dello stato sociale. Eppure, tra le
nostre elezioni e l’accordo franco-tedesco, la relazione c’è ed è
strettissima. Una relazione da cui dipende il futuro dell’Italia. Mi
spiego.

Cominciamo dalle elezioni italiane. È certamente vero che esse
costituiscono una pagina bianca che solamente gli elettori e le
elettrici potranno riempire. Tuttavia, è anche vero che la penna con
cui riempirla può avere caratteristiche diverse. Dato che il prossimo 4
marzo si voterà con un sistema elettorale proporzionale, molti
esponenti hanno pensato di poter riportare indietro le lancette dell’
orologio politico italiano. È un fiorire di liste, di organizzazioni,
di distinzioni. Ma, attenzione, si tratta di un vero e proprio fumo
negli occhi. Perché, nonostante la frammentazione superficiale dell’
offerta politica, al fondo di quest’ultima c’è una divisione
fondamentale, quella tra chi pensa di governare un’Italia indipendente
e chi invece un’Italia integrata. Chiamo i primi gli indipendentisti e
i secondi gli europeisti. Gli indipendentisti costituiscono la
coalizione (informale) dell’introversione italiana, avanzano proposte
senza porsi il problema della loro fattibilità. Ragionano come se
disponessimo della sovranità monetaria o dell’autonomia di bilancio.
Per questa coalizione, l’Europa è uno dei temi della campagna
elettorale, un capitolo della politica estera da affidare (semmai) alle
cure della diplomazia.

Basti leggere le ripetute dichiarazioni del candidato premier dei
Cinque Stelle, secondo cui il governo da lui diretto non rispetterà il
vincolo del 3% del deficit né tanto meno quello del debito pubblico,
così da poter distribuire il reddito di cittadinanza o da poter
abbassare l’età pensionabile. Scelte che l’Europa dovrà semplicemente
accettare. Nel caso decidesse di contrastarci, allora l’Italia
risponderà organizzando un referendum per uscire dall’Eurozona
(naturalmente come “extrema ratio”). Naturalmente, nelle sue
considerazioni non entra mai il mercato finanziario e le sue reazioni
alle nostre politiche di bilancio. Anche il premier greco Alexis
Tsipras promosse un referendum nel suo Paese, nel luglio del 2015, per
‘far capire’ agli europei che i greci non erano disposti ad accettare
le condizioni imposte per il loro salvataggio. Il risultato fu l’
umiliazione della Grecia, che dovette accettare condizioni ancora più
dure, dopo quel referendum. Peraltro, ai nostri sovranisti sfugge l’
idea che l’uscita dell’Italia dall’Eurozona possa essere vista
addirittura con favore dai governi del nord dell’Europa.

Gli europeisti, invece, costituiscono la coalizione che riconosce l’
interdipendenza (soprattutto monetaria) dell’Italia. I partiti che si
riconoscono nell’Italia europea sono gli eredi dei tre governi di
coalizione (Letta, Renzi e Gentiloni) che si sono succeduti in questa
legislatura. Governi che hanno avuto delle opposizioni anti-europeiste
al loro interno, ma anche dei sostenitori europeisti al loro esterno.
Per questi partiti, pur nelle loro differenze, l’Europa costituisce la
condizione della nostra politica interna. Essa non è uno dei temi della
campagna elettorale, ma il punto di vista con cui affrontare tutti i
temi di quest’ultima. Riforme come quella del Jobs Act o del sistema
bancario o del sistema costituzionale (per fare degli esempi) non vanno
giudicate in sé stesse, ma in relazione alla loro capacità di
promuovere gli interessi del nostro Paese nel sistema dell’
interdipendenza europea. Anche se non sono mancate stonature o
posizioni contradditorie da parte dei leader di questa coalizione,
quest’ultima dovrà essere giudicata per come ha governato il Paese in
uno dei momenti più difficili della sua storia post-bellica, oltre che
per la competenza del personale politico che ha messo in campo. Le
prossime elezioni dovranno dunque stabilire quale, tra queste due
fondamentali posizioni, potrà guidare l’Italia nel futuro. Ecco perché
il 4 marzo non dovremo scegliere tra decine di partiti, bensì tra due
grandi opzioni strategiche. Da un lato ci sono i partiti dell’
introversione sovranista, dall’altro lato quelli dell’interdipendenza
europea.

Vediamo ora la prospettiva europea. Per quanto riguarda quest’ultima, è
evidente che la spinta impressa dalla Francia di Emmanuel Macron va
nella direzione di un’Europa a due velocità, una spinta che potrebbe
concludersi in un vero e proprio sdoppiamento dell’attuale Unione
europea (Ue). Lo stallo tedesco, nella formazione del nuovo governo, è
l’effetto del protagonismo francese. Al negoziato con Macron, la
Germania non può andare con un governo costituito «per mancanza di
meglio» (come sarebbe stata la coalizione Giamaica), né può andarci con
un partner di coalizione (come i liberal-democratici del Freie
Demokratische Partei) decisamente euro-scettico. Macron sta imponendo
alla Germania la ridefinizione della sua posizione sull’integrazione
europea così come si è venuta definendo dopo l’unificazione del Paese
nell’ottobre 1990. La Germania non può non rimanere agganciata alla
Francia, sia quando quest’ultima si ferma sia quando riparte. La
dichiarazione dei due parlamenti (francese e tedesco), che verrà resa
pubblica il 22 gennaio, costituirà il viatico alla cruciale
negoziazione che si terrà tra i due Paesi dopo la formazione del
governo tedesco, ovvero la riforma dell’Eurozona. Così, mentre i
maggiori Paesi dell’Europa dell’est si stanno avvolgendo in una spirale
autoritaria, mentre il nazionalismo si sta rilegittimando anche nell’
Europa dell’ovest, è evidente che le leadership della Francia e della
Germania dovranno risolvere il problema, in quel negoziato, di come
liberare l’Ue dalla paralisi decisionale e democratica. Lo faranno da
sole oppure vi parteciperà anche la leadership italiana?

Ecco perché l’esito delle elezioni del prossimo 4 marzo avrà
conseguenze storiche per l’Europa in cui dovranno vivere gli italiani.
Quelle elezioni non decideranno i rapporti di forza tra i vari partiti,
individualmente intesi, oppure tra la destra e la sinistra,
ideologicamente intese. Piuttosto esse decideranno la collocazione dell’
Italia. Se si affermasse la coalizione indipendentista, allora l’esito
sarà l’inevitabile auto-esclusione dell’Italia dal progetto di
rafforzare e democratizzare l’Eurozona. Anche se non giungerà al punto
di spingere il Paese lungo la strada britannica, viste le implicazioni
disastrose della Brexit, quella coalizione ci spingerebbe comunque
verso la periferia europea. Se invece si affermerà la coalizione dell’
interdipendenza europea, allora l’Italia potrà far parte del gruppo
centrale di Paesi impegnati a costruire un’unione politica, che
garantisca il mercato unico e la democrazia liberale.